1. La natura giuridica del bene “impianto sportivo” di proprietà degli enti locali.
Una definizione significativa di “impianto sportivo” si rinviene nell’art. 2 del DM 18.3.1996 (concernente “Norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi”) secondo il quale è “impianto sportivo” l’“insieme di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, che hanno in comune i relativi spazi e servizi accessori, preposto allo svolgimento di manifestazioni sportive”, comprendendo a tal fine “lo spazio o gli spazi di attività sportiva”; “la zona spettatori”; “eventuali spazi e servizi accessori”; “eventuali spazi e servizi di supporto”[1].
Gli impianti sportivi e gli spazi pubblici di proprietà degli Enti locali destinati all’attività agonistica e non agonistica, con le relative attrezzature, secondo consolidata giurisprudenza, costituiscono beni del patrimonio indisponibile delle Amministrazioni locali destinati a soddisfare esigenze e bisogni dei cittadini, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma del codice civile[2]; peraltro, coerentemente col regime di cui all’art. 828 del codice civile, gli impianti sportivi sono gravati da un vincolo funzionale per cui non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi previsti dalla legge.
Di conseguenza, è oggi largamente condivisa, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, la qualificazione degli impianti sportivi di proprietà degli Enti locali come “servizio pubblico locale, ai sensi dell’art. 112 del d. lgs. n. 267/2000, per cui l’utilizzo del patrimonio si fonda con la promozione dello sport che, unitamente all’effetto socializzante ed aggregativo, assume un ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita a beneficio non solo per la salute dei cittadini, ma anche per la vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio etc.)” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenze 28 gennaio 2021, n. 858 e 18 agosto 2021, n. 5915).
Il suddetto inquadramento degli impianti sportivi degli enti locali come beni destinati a un pubblico servizio, trova riscontro anche nell’art. 90, comma 24, della legge n. 289/2002, ove è prescritto che il loro uso sia “aperto a tutti i cittadini” e che comunque debba “essere garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive”.
La qualificazione come “servizio pubblico locale” prescinde, peraltro, dalla circostanza per cui tale attività venga erogata in subordine o meno al pagamento di un corrispettivo, in quanto il carattere oneroso del servizio dipende esclusivamente dalle caratteristiche tecniche del medesimo e dalla volontà “politica” dell’ente. Va, pertanto, considerato servizio pubblico locale anche la gestione svolta gratuitamente o con contribuzione pubblica, sempre che le prestazioni siano preordinate all’assolvimento di finalità sociali[3].
2. I possibili modelli gestionali degli impianti sportivi di proprietà degli enti locali.
L’ente locale dispone di due modalità alternative per la gestione dei propri impianti sportivi: una forma diretta e una forma indiretta, mediante affidamento a terzi.
Nel primo caso, la gestione concreta può essere assicurata direttamente dall’ente locale con le proprie strutture organizzative o, più spesso, avvalendosi in house di una società integralmente posseduta[4]. Soluzione, questa, la cui legittimità è confermata dal giudice amministrativo, secondo cui nessuna norma obbliga i comuni ad affidare all’esterno determinati servizi (tra cui la gestione degli impianti sportivi), soprattutto quando si tratti di attività di modesto impegno finanziario[5].
L’ammissibilità di tale soluzione è rinvenibile anche nell’art. 90, comma 25, della legge n. 289/2002, laddove il legislatore ammette una gestione indiretta “nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi”.
La gestione diretta è, comunque, considerata recessiva rispetto a quella indiretta, poiché comporta a carico dell’ente locale complessi oneri organizzativi ed economici ed è, quindi, un’opzione ragionevolmente percorribile solo dopo aver verificato che nel contesto territoriale di riferimento non sia possibile un più proficuo ricorso al mercato che garantisca il servizio a parità di qualità ma a condizioni più vantaggiose in termini di efficacia, efficienza ed economicità.
Nel caso di gestione indiretta, la norma di riferimento era (quanto meno fino all’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici del 2016, come si dirà in seguito) l’art. 90, comma 25, della legge n. 289/2002, secondo cui “nei casi in cui l’ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d’uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l’individuazione dei soggetti affidatari. Le regioni disciplinano, con propria legge, le modalità di affidamento”.
L’ANAC ha in proposito affermato che detta norma, pur mostrando il favor del legislatore per l’affidamento degli impianti sportivi ai soggetti operanti nel settore dello sport, non consente un affidamento diretto degli stessi ma, in conformità alle norme ed ai principi derivanti dal Trattato, occorre procedere ad un confronto concorrenziale tra i soggetti indicati nella stessa disposizione normativa. Detto confronto concorrenziale, quindi, nella vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 163/2006), doveva essere effettuato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 30 del d.lgs. 163/2006[6].
A seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016), tuttavia, ANAC ha ritenuto superata la modalità di affidamento di cui all’art. 90, comma 25 della L. n. 289/2002, in quanto alla luce delle nuove disposizioni del d.lgs. 50/2016 (ed in particolare degli artt. 164 e ss. sui “Contratti di concessione”), occorre distinguere tra impianti con rilevanza economica ed impianti privi di rilevanza economica[7].
In particolare, secondo quanto ricostruito da ANAC e dalla successiva giurisprudenza amministrativa[8], la distinzione di cui all’art. 164 fra servizi “economici” e “non economici” va letta alla stregua della fonti eurocomunitarie ed è incentrata sul criterio economico della remuneratività, intesa in termini di redditività anche solo potenziale, cioè di possibilità di coprire i costi di gestione attraverso il conseguimento di un “corrispettivo economico nel mercato”.
Di conseguenza, il servizio ha rilevanza economica quando il gestore ha la possibilità potenziale di coprire tutti i costi con i ricavi; al contrario, un servizio è privo di rilevanza economica quando è strutturalmente antieconomico, perché potenzialmente non remunerativo (perché il mercato non è in grado o non è interessato a fornire quella prestazione).
Peraltro, la redditività di un servizio (e, in particolare, della gestione di un impianto sportivo) deve essere apprezzata caso per caso, con riferimento alla soluzione organizzativa prescelta dall’ente locale per soddisfare gli interessi della collettività, alle specifiche modalità della gestione, ai relativi costi ed oneri di manutenzione, alla struttura tariffaria (libera od imposta) per l’utenza, alla disciplina delle quote sociali, alla praticabilità di attività accessorie etc..
Basandosi, quindi, sulla nuova disciplina di cui all’art. 164 del d. Lgs. n. 50/2016 e sulla fondamentale distinzione fra impianti sportivi con o senza rilevanza economica, la successiva giurisprudenza[9] ha individuato tre diversi modelli alternativi di gestione indiretta, ad integrazione e superamento della disciplina, in parte non esaustiva, in parte inattuale, di cui all’art. 90, comma 25 d. lgs. n. 289/2002, ossia:
a) la gestione degli impianti sportivi con rilevanza economica, qualora qualificabile quale “concessione di servizi” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. vv) del Codice, deve essere aggiudicata con applicazione delle parti I e II del Codice stesso, per quanto compatibili (come previsto dall’articolo 164, comma 2, del d.lgs. 50/2016);
b) l’uso associativo di impianti privi di rilevanza economica (tipicamente impianti di ridotte dimensioni, per i quali non è ipotizzabile l’uso diffuso a tariffa) avviene mediante “concessione strumentale del bene pubblico”, svincolata dalla disciplina del Codice sulle “concessioni di servizi”, ma pur sempre soggetta ad una procedura ad evidenza pubblica e nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (cfr. art. 164, comma 3, e art. 4 d. lgs. n. 50/2016);
c) l’affidamento in gestione di impianti sportivi privi di rilevanza economica, per i quali l’attività non sia resa a favore della collettività indifferenziata, ma direttamente a favore dell’ente locale ed in assenza di rischio operativo, ammette il ricorso all’appalto di servizi (rientrando, segnatamente, la materia nella categoria dei “servizi amministrativi, sociali, in materia di istruzione, assistenza sanitaria e cultura” di cui all’All. IX del d. lgs. n. 50/2016, relativo ai servizi di cui agli artt. 140 ss. del Codice).
3. Il decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 38
Il quadro normativo sopra delineato è stato recentemente novellato dal D. lgs. 28 febbraio 2021, n. 38, il quale all’art. 6 ha previsto che gli affidamenti della gestione degli impianti sportivi, che l’ente locale non intenda gestire direttamente, siano “disposti nel rispetto delle disposizioni del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e della normativa euro-unitaria vigente”. Con l’art. 12, comma 1, lett. c), è stato quindi abrogato l’art. 90, comma 25 della L. n. 289/2002.
Tuttavia, la nuova disciplina non risulta ancora applicabile poiché l’art. 12-bis del medesimo decreto, come modificato dall’art. 10, comma 13-quater, lett. d), D.L. 25.5.2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla L. 23.7.2021, n. 106, ne ha disposto la proroga dell’entrata in vigore al 1° gennaio 2023.
Nelle more dell’entrata in vigore della nuova normativa, che richiama espressamente il Codice dei contratti pubblici come fonte regolatrice delle procedure di affidamento della gestione degli impianti sportivi, la recente giurisprudenza ha, quindi, stabilito che gli enti devono attenersi ai tre modelli di gestione indiretta sopra descritti, ovvero “per l’affidamento degli impianti sportivi aventi rilevanza economica, si segue il già detto modello della concessione di servizi, ai sensi dell’art. 164, comma 2, e dell’art. 3, comma 1, lett. vv), del Codice dei contratti pubblici; per l’affidamento degli impianti non aventi rilevanza economica si segue il modello della concessione strumentale di bene pubblico ovvero della relativa gestione, sottratta all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, in coerenza con la previsione dell’art. 164, comma 3, a meno che l’ente locale non preferisca fare ricorso all’appalto di servizi ai sensi degli artt. 140 e seg. dello stesso Codice (cfr. Cons. Stato, V, n. 858/2021, che richiama la delibera ANAC 14 dicembre 2016, n. 1300)” (Cons. Stato, sez. V, n. 5915/2021 cit.).
[Valentina Laurini]
Avvocato
[1] Analoga definizione si rinviene, oggi, nell’art. 2, lett. d) del D. Lgs. n. 38 del 28.2.2021, n. 38, la cui entrata in vigore è stata differita al 1.1.2023, in forza dell’art. 12-bis del medesimo decreto, come modificato dall’art. 10, comma 13-quater, lett. d), D.L. 25.5.2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla L. 23.7.2021, n. 106.
[2] In tal senso si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 23.7.2001, n. 10013. Il principio espresso da questa decisione è stato più volte confermato dalla successiva giurisprudenza ordinaria e amministrativa.
[3] Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16 dicembre 2004, n. 8090.
[4] Sulla legittimità di un affidamento diretto a società integralmente posseduta dal Comune proprietario, si veda TAR Lombardia, Brescia, sentenza n. 2221 del 2002. Viceversa, l’affidamento diretto a una fondazione comunale è stato ritenuto illegittimo dalla deliberazione n. 41 del 2012 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, quando essa sia abilitata ad agire anche al di fuori del territorio comunale e, soprattutto, sia prevista fin dall’inizio la possibilità che entrino a farne parte (senza gara) anche soggetti privati.
[5] Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26 gennaio 2011, n. 552.
[6] ANAC – parere sulla normativa del 2 dicembre 2015 – AG 87/2015/AP.
[7] Delibera ANAC 14 dicembre 2016, n. 1300.
[8] Consiglio di Stato, Sez. V, sentenze 18 agosto 2021, n. 5915 e 14 marzo 2022 n. 1748.
[9] Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 28 gennaio 2021, n. 858.